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L’ORECCHIO ASSOLUTO – il rapporto suono-colore secondo Luigi Veronesi
25 agosto 2017
/di Mag
Esiste una particolare abilita’ chiamata “orecchio assoluto“.
Il musicista con l’orecchio assoluto ascoltando il suono di una qualsiasi nota ne riconosce il nome così
come normalmente le persone sanno riconoscere i diversi COLORI impressi in un quadro.
Il musicista con l’orecchio assoluto, senza dover guardare lo strumento che sta suonando, sa, nello stesso momento in cui ne percepisce il suono, quali sono le note che vengono suonate.
Chi possiede questa capacità riconosce sempre le tonalità in cui i brani musicali vengono suonati, è sempre in grado di dire se uno strumento musicale è crescente o calante e sa dire quali sono gli accordi impiegati in una canzone mentre viene suonata.
Molti considerano l’orecchio assoluto un “dono musicale” e lo associano solo a personaggi eccezionali e fenomenali.
E’ risaputo che W.A. Mozart, avesse (tra le altre cose) un sorprendente orecchio assoluto. In un aneddoto si racconta che quando aveva sette anni un suo amico gli prestò un violino e il giovane Wolfang iniziando a suonarlo subito ne apprezzò il suo bel suono ma dopo un po’ si lamentò che lo strumento era calante di un quarto di tono. Una simile acutezza di percezione sembrava impossibile a tutti gli invitati presenti all’esecuzione ma il padre di Wolfang insistette affinché l’intonazione del violino venisse verificata e l’intuizione del bambino si rivelò esatta.
In realta’ questa super-accuratezza dell’udito non e’ affatto un “dono divino” per pochi prescelti.
L’orecchio di ogni musicista possiede una spontanea ma spesso non allenata capacita’ di distinguere il “COLORE” attraverso l’ascolto dello spettro sonoro, proprio come l’occhio distingue i vari COLORI attraverso la visione dello spettro visivo.
Avere orecchio assoluto significa saper “ascoltare i COLORI” !!
“L’orecchio, perciò, nel suo campo d’azione, sembra addirittura contenere più possibilità percettive dell’occhio stesso. In effetti l’orecchio è uno strumento così delicato e perfetto che è facile capire come esso possieda l’abilità naturale di apprezzare diverse frequenze d’onda (note) come diversi “colori” all’interno dello spettro sonoro, proprio come nel campo visivo l’occhio vede naturalmente tutti i colori dell’arcobaleno in relazione alle loro specifiche frequenze”.
Christian Cappelluti
Ogni nota che ascoltiamo ha una particolare frequenza d’onda, e per questo motivo che ogni nota ha un particolare colore sonoro. Tutto ciò che dobbiamo fare per sentire questi colori è semplicemente allenarsi ed imparare ad ascoltare.
Occorre però chiarire che un suono non evoca per se stesso alcun determinato colore e un colore non evoca per se stesso alcun suono determinato, noi possiamo sovrapporre i due spettri non importa come in rapporto l’uno all’altro. Noi non dobbiamo cercare di sapere se il tal suono è blu o rosso, ma se i colori si comportano fra di loro come i suoni. Se esistono quindi fra di loro rapporti o logiche di grandezza molto simili (ma ovviamente non uguali) a quelli esistenti fra i suoni e nel fare questo occorre ricordare che la gamma diatonica dei suoni è una selezione limitata di suoni presenti in natura ed inoltre presenta ed è caratterizzata da una irregolarità dei toni e semitoni e quindi volendo paragonare le due scale avremo una sequenza irregolare di suoni contrapposta ad una sequenza regolare di colori ed inoltre si sa che i fenomeni sonori si riproducono periodicamente di ottava in ottava e ciò non accade per i colori.
Quindi la difficoltà primaria è come rendere comparabile lo spettro dei suoni con lo spettro dei colori.
IL RAPPORTO SUONO-COLORE NELLA METODOLOGIA DI LUIGI VERONESI
Negli anni Trenta a Milano nella galleria Il Milione, ovvero in un luogo di incontro e di diffusione culturale di notevole importanza in quegli anni avvenne l’incontro tra Luigi Rognoni e Luigi Veronesi. Le ricerche di entrambi erano orientate sul confronto diretto tra suono e colore, ed in particolare Veronesi tentava di indagare scientificamente le relazioni tra il linguaggio visivo e quello musicale, seguendo un metodo misurabile scientificamente. “Veronesi anziché partire dal problema timbro (musicale)-colore (pittorico), come hanno fatto, bene o male, i suoi predecessori, parte dal rapporto altezza tra nota e nota, e altezza tra colore e colore: quindi da un rapporto intervallare rigorosamente controllabile”.
Veronesi giunse ad affermare che Il rapporto di frequenze fra l’estremo viola e l’estremo rosso, nello spettro visivo, è di 1/2 esattamente come nelle frequenze delle ottave musicali fra “do” e “do” e da lì prese il via la sua sovrapposizione fra le due scale frequenziali.
Il risultato è stato poi perfezionato rapportando la scala diatonica alla scala cromatica di dodici suoni, trovando così la lunghezza d’onda dei semitoni e il loro colore corrispondente.
A tal proposito si ricordano diversi compositori che non avevano idee coincidenti sull’indicazione delle stesse note e uguali colori ad esempio Rimskij Korsakov era d’accordo con Skrjabin circa le impressioni colorate che egli provava in rapporto a certe note, benché non tutte le corrispondenze indicate da lui coincidessero con quelle di Skrjabin. Ad esempio il suo mi bemolle era blu, mentre Skrjabin sosteneva che il mi bemolle era rosso (nel Prometeo il mi bemolle è però colore acciaio) ma entrambi concordavano sul re-giallo.
Antichissimi sono poi i tentativi di tradurre per vie pittoriche effetti musicali: la possibilità di coordinare colori e suoni era ben nota alle antiche culture dell’India e della Cina. Newton indagava su di una coincidenza dei sette colori dello spettro con gli intervalli di una scala musicale diatonica e coi sette pianeti; in seguito, di contro ai risultati di Newton fondatisi sul calcolo di frequenze, Goethe volle visualmente evidenziare un’armonia di colori nella sua Dottrina dei colori e ne mise in luce gli effetti fisico-spirituali.
Già nel 1725 il gesuita e matematico francese Louis-Bernard Castel suggerì di riprodurre brani musicali su tappeti in forme astratte giovandosi a questo fine anche di danze, strumenti musicali e scene operistiche (idea rimasta peraltro allora allo stadio di mero progetto).
Celebre divenne invece nel 1738 il “pianoforte” a colori di Castel
Il clavicembalo oculare di Padre Castel
Il gesuita Louis Bertrand Castel (Montpellier 1688 – Parigi 1737), insegnante di fisica e matematica, creò il “clavicembalo oculare”: la percussione dei tasti doveva produrre, secondo studi dello stesso gesuita, colori in alcune ampolle. Sebbene Castel affermasse di aver fatto suonare lo strumento per un pubblico di duecento persone, oggi le studiose E. Noulet e A.M. Chouillet-Roche dubitano del reale funzionamento dello strumento, dal momento che i racconti dei testimoni presentano pochi elementi tecnici per spiegarne il funzionamento.
Il clavicembalo oculare avrebbe avuto la capacità di dipingere i suoni con i colori ad essi corrispondenti, in maniera tale, sosteneva Castel, “che un sordo possa gioire e giudicare della bellezza di una musica tramite i colori ed un cieco possa giudicare dei colori tramite i suoni”.
Questo fu indubbiamente un primo tentativo di “interfacciamento” tra i due linguaggi artistici.
Fonti :
(L’estetica dei media, Castelvecchi, Roma, 1999, pag. 81)
Traduzione originale dal francese e sintesi di un articolo di Maurice Touzé in
SOU I.: LA REVUE MUSICALE Décembre-janvier 1953 – Numéro 219: Numéro spécial. La musique et le ballet)
Christian Cappelluti “il colore dei suoni” pdf stampabile internet
LUIGI VERONESI AA. VV., , Milano, Mazzotta Ed., 1997.
IL MUSICO
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